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Le Vacanze di Patrizia (Settima Parte)

 
Dopo la partenza di Piero e dei suoi amici la vacanza di Patrizia rientrò in canoni di assoluta innocenza. Patrizia continuò ad uscire la sera con le cugine, a fare tardi in discoteca, a divertirsi, a stringere nuove amicizie, maschili e femminili. Come era prevedibile, fece strage di cuori. Molti le facevano una corte spietata. Lei era gentile e disponibile con tutti ma non concesse a nessuno neanche la più casta delle pomiciate.

So quello che pensate. Ne rimasi sorpreso pure io. Ho provato a darmi delle spiegazioni, nessuna da escludere, ma nessuna pienamente convincente. Calcolai che era entrata nella seconda parte del ciclo, quella in cui le donne sono meno ricettive agli stimoli sessuali. O forse si era resa conto di aver esagerato, e attraversava una fase di rigetto o, meno probabilmente, di senso di colpa. Oppure aveva avuto abbastanza cazzo ed ora era sazia. Oppure non c'era nessuno che lei trovasse sufficientemente attraente. Oppure semplicemente non le andava, punto. Fatto sta che nella seconda settimana, per Patrizia non ci fu quasi per niente sesso.

Solo il penultimo giorno, il giorno prima della partenza per il ritorno, volle togliersi lo sfizio di salutare in maniera molto personale il bagnino della spiaggia. Nicola era un ragazzo del luogo, venti anni, un bel fustaccione abbronzato come il ruolo richiede. Aveva però un carattere timido e introverso che lo rendeva un po' ombroso e scorbutico nei rapporti con il prossimo. Non era infatti molto popolare tra i clienti. Con Patrizia invece era tutto un'altro discorso. Sin da quando era arrivata, Patrizia si era accorta che quel ragazzo nutriva per lei un sentimento di sconfinata adorazione. La ricopriva discretamente di mille attenzioni e di mille piccoli favori. Patrizia aveva sempre l'ombrellone migliore e la posizione più favorevole sulla spiaggia, alla faccia delle proteste dei "vecchi" clienti. Le rivolgeva la parola usando rispettosamente il "lei" ("signorina Patrizia...").

Quando Patrizia era in compagnia di amicizie maschili, soprattutto quando c'erano stati i quattro milanesi, Nicola era visibilmente ancora più cupo e intrattabile. Se invece Patrizia gli dava l'occasione di accontentarla in qualche capriccio, e poi lo ricambiava con un bel sorriso e un "Grazie, Nicola", sembrava l'uomo più felice della terra.

Quel venerdì era una di quelle giornate ventose e un po' nuvolose che capitano dopo ferragosto sulla costa adriatica. Era mattina presto e in spiaggia c'era poca gente. Patrizia aveva cercato di prendere quel po' di sole che ogni tanto si affacciava tra una nuvola e l'altra. A un certo punto lo chiamò e lui corse in un baleno, piantando in asso le due persone con cui stava parlando.

"Nicola, guarda! La mia sdraio si sta strappando!" C'erano, è vero, due filetti scuciti, ma quella sdraio avrebbe retto ancora per secoli anche carichi ben più pesanti dei 53 chili di Patrizia (su 1.66 di altezza, se vi interessa).

"Gliela cambio subito, signorina Patrizia." Rispose pronto Nicola. Ripiegò la sdraio e si diresse verso il magazzino. Quando si accorse che Patrizia lo stava seguendo, le disse "Resti pure comoda, signorina. Gliela porto io!"

"Ma io me la voglio scegliere! Posso scegliermela?"

"Certo signorina! Si accomodi!"

Il magazzino era un parallelepipedo di cemento dove erano accatastati tavoli, sedie, ombrelloni, sdraio, un paio di tavole e vele da windsurf, un vecchio pedalò, e soprattutto un pervasivo puzzo di legno marcio e di salsedine.

Nicola si mise subito ad armeggiare tra il ciarpame. Probabilmente non sospettò niente neanche quando Patrizia richiuse la porta alle sue spalle. Stava infatti per borbottare qualcosa tipo "Apra la porta, signorina, che qui non ci si vede" quando Patrizia lo sospinse contro il muro, dietro una pila di sdraio, e gli disse, piano "Nicola. In queste due settimane sei stato molto gentile e carino con me. Domani parto e voglio ringraziarti."

Senza dargli il tempo di replicare, Patrizia incollò le sue labbra a quelle di lui e cominciò a smulinare la lingua nella sua bocca. Poi, intimandogli "Zitto! Non dire niente!", si inginocchiò davanti a lui e gli tirò fuori il cazzo dal costume.
Fu una piacevole sorpresa per lei. Si intuiva, è vero, un cazzo importante dal bozzo del costume di Nicola, ma Patrizia non se lo aspettava così lungo, così grosso e così ben fatto. Non enorme come quello di Piero, ma assolutamente in grado di non sfigurare al confronto. Più grosso del mio, che così (ahimè!) scivolava al terzo posto. Terzo su sei. Non è così malaccio. Si può sopravvivere, credo, con un cazzo da zona UEFA.

Patrizia avrebbe sicuramente preferito dedicare più tempo e attenzioni al cazzo di Nicola. Ma data la precarietà della loro situazione (la porta del magazzino era chiusa, ma non a chiave) e la scarsa comodità della posizione in ginocchio, che Patrizia detesta, decise di tenere i tempi piuttosto stretti. Per cui, dopo un'accurata ma rapida passata di lingua su tutta l'asta, le palle e la cappella, Patrizia lo prese nella bocca e cominciò a pompare con la testa, accompagnando l'opera con i consueti musicali mugolii.

Il suo delizioso lavoretto fu interrotto solo una volta da Nicola, quando, ansimando, le chiese "Signorina Patrizia, tornerà qui l'anno prossimo?" Io sospetto che fu una scusa per bloccare l'orgasmo immininente e prolungare così il piacere del bocchino. Patrizia è convinta di no. In ogni caso, lei staccò la bocca dalla cappella di Nicola, si rigirò il cazzo tra le mani guardandolo con ammirazione e rispose "Forse... non lo so...". Poi sospirando aggiunse "... ma sicuramente ne varrebbe la pena!" e ricominciò decisa a pompare.

Un minuto dopo, Nicola veniva gemendo nella bocca di Patrizia. E bevendo avidamente lo sperma caldo del giovane pugliese, la mia ragazza concluse l'ultimo episodio erotico delle sue disnibite vacanze.

Per una sorta di legge del contrappasso, la mia seconda settimana di vacanza fu invece abbastanza movimentata. Fu una fortuna. Per diverse ragioni. Prima di tutto perché fu un bel brodino caldo per il mio ego e per il mio orgoglio maschile, in rapido declino dopo aver ascoltato le acrobazie erotiche di Patrizia, e soprattutto dopo essere uscito sconfitto da ogni confronto con Piero, più alto, piu bello, più cazzuto e pure maledettamente più scafato a letto malgrado i due anni di età di vantaggio che mi concedeva.

Secondo, perché preveniva ogni possibilità (sebbene comunque remota) che Patrizia potesse coltivare qualche senso di colpa per la sua condotta non irreprensibile, con strascichi sgradevoli sul nostro rapporto. Così invece ci eravamo dati reciproca libertà ed entrambi l'avevamo sfruttata. Non so se c'è qualche regola aritmetica per cui le infedeltà si possono semplificare al numeratore e al denominatore. Ma era evidente, comunque, che in questo modo le corna che mi aveva messo con tanto entusiasmo "pesavano" molto meno sia a me che a lei.

Terzo, infine, perché Adriana era una bella gnocca e con lei ho passato dei momenti molto, ma molto, gustosi.

Adriana era "la bionda con le cosce di fuori" che mi aveva cioccato sul lungomare una delle prime sere, e che poi avevamo scoperto risiedere al nostro stesso villaggio. Aveva la mia stessa età (era più vecchia di un mese). Viveva ad Ancona, ma entrambi i genitori erano di origini calabresi. Ogni anno affittavano una casa in qualche villaggio turistico sulla costa e l'utilizzavano come base per far visita alle centinaia di parenti che vivevano sparsi in una miriade di paesini insignificanti e semi-abbandonati dell'entroterra calabro. Adriana aveva subito messo in chiaro che a lei di far visita a zio Agenore o a zia Carmelina non poteva fregare di meno, e quindi se ne rimaneva al villaggio sola e indisturbata. Il giorno e pure la notte, perché quasi sempre i suoi vecchi, dopo ricchi festeggiamenti a base di soppressata e vino locale, preferivano accettare per la notte l'ospitalità dei parenti. In pratica i suoi non c'erano mai. Ogni tanto arrivavano la mattina, un bagnetto, un po' di sole, si accertavano che Adriana stesse bene, che avesse i soldi, che avesse tutto. Poi pranzetto, pennichella, e via, felici, con la 131 grigia, verso S.Cirillo all'Aspromonte o qualche simile paesino dimenticato da dio e da tutta la topografia ufficiale.

Ma torniamo ad Adriana. Ho detto bella gnocca, e lo confermo. Tipo mediterraneo, ricca di curve che sprizzavano sensualità da tutti i pori. Belle gambe, bel culo e bel seno. Tutto ottimo e abbondante. Se Patrizia era come Diana, la dea della caccia, agile ed esile sebbene dotata di tutte le forme che ne esaltavano la femminilità, Adriana era Venere, la dea della fertilità, dell'abbondanza. Ho detto anche bionda. E questo non lo confermo. Il colore naturale dei capelli di Adriana sarebbe stato un bel castano scuro, magari anche soggetto a schiarirsi sotto l'azione del sole e del mare. Ma il biondo chiaro che sfoggiava non aveva niente di naturale, sebbene avesse l'effetto, tutt'altro che sgradevole, di esaltare per contrasto la sua abbronzatura bronzea. Il viso, dai lineamenti un po' forti, non poteva certo competere con la squisitezza dei tratti della mia Patrizia, ma eravamo comunque ben al di sopra della sufficienza.

La cosa più straordinaria è che per rimorchiarmi questa tipa non ho dovuto fare assolutamente niente. Questa è una circostanza che mi fece riflettere a lungo. Tutta la mia adolescenza era costellata di faticosi e dolorosi corteggiamenti, spesso conclusisi in mortificanti "buche", anche da parte di ragazze non particolarmente interessanti. Stavolta invece... ora vi racconto.

Con le partenze della prima settimana, e i pochi nuovi arrivi, tutti i ragazzi del nostro villaggio trovarono spontaneo serrare i ranghi e formare un'unica comitiva. Fu in quell'occasione che io e i miei amici conoscemmo Adriana. Dei cinque io fui l'unico a non cominciare a sbavarle dietro. In circostanze normali lo avrei fatto pure io, ma ero troppo preso dalle avventure e dalle telefonate di Patrizia per pensare a battere i pezzi a un'altra. Come per magia, invece, Adriana prese di mira proprio me.

Non è così assurdo, intendiamoci. Sono un bel ragazzo. Riccetto, moro. Atletico. Ho giocato a calcio fino agli Allievi e da due anni faccio quel tanto di bodybuilding che mi consente di restare asciutto e sviluppato. Non mi fate continuare, che mi imbarazza, ma fidatevi almeno del gusto di Patrizia. Pensate che sia il tipo da mettersi insieme a un rospo?

Adriana mi stava vicino, mi seguiva. Dovunque andassi me la ritrovavo a fianco. Il bello è che tutta la comitiva aveva notato le sue manovre e tutti cercavano di facilitarla. Ci sedevamo al bar? Nessuno prendeva la sedia accanto alla mia prima che arrivasse Adriana. Ci dividevamo sulle macchine per andare dal villaggio alla discoteca? A nessuno veniva in mente di assegnare i posti in modo che io e Adriana non ci trovassimo sulla stessa auto, e possibilmente soli, sui sedili posteriori.

E io? Passivo. Si avvicinava? Non la scacciavo, ma neanche gli andavo incontro. Mi seguiva? Io non scappavo, ma nemmeno mi fermavo ad aspettarla. Mi parlava? Io rispondevo, ma senza fare niente per proloungare il discorso. Passivo.

Alla fine della serata mi salutò con un bacio sulle labbra, che io non rifiutai, ma neanche mostrai particolarmente di apprezzare. Per tutta la notte i miei amici mi diedero del coglione. "Cazzo, ma quella ci stava!" "Hai fatto il finto tonto per tutta la sera!" "Col cazzo che una figa come quella ti da un altra occasione!" "A Fabio" sentenziò Sergio "non ti riconosco più!"

Invece la mattina dopo, Adriana arrivò in spiaggia e, come se fosse la cosa più naturale del mondo, stese il suo asciugamano accanto al mio e continuò nel suo comportamento da fedele cagnolino. I miei amici provarono ad attaccare la pippa, facendo battute, corteggiamenti, adulazioni, commentando che "ragazze così belle non dovrebbero perdere tempo con certi morti di sonno". Lei rideva e scherzava con loro, ma continuava a puntare me. Se andavo in acqua, lei mi seguiva. Se uscivo lei usciva, e così via. Io continuavo a fare il passivo e l'indifferente. Non era una tattica, sia chiaro. Non credo che sarei in grado di simulare tanta indifferenza, se una ragazza mi interessasse. E' che a me proprio non fregava niente.

Quella sera, con la compiacente complicità del resto della comitiva, Adriana riuscì a restare sola con me e subito ne approfittò per incollare le sue labbra alle mie e infilarmi un palmo di lingua in bocca. Io la lasciai fare, ma senza entusiasmo. Poi mi prese per mano e mi portò nel suo appartamento, dove si spogliò e mi fece spogliare. Mi fece stendere sul lettone di mamma e papà, si inginocchiò tra le mie gambe e cominciò a succhiarmelo con grande passione. Contemporaneamente si sgrillettava con la destra. Quando ritenne che il mio cazzo e la sua passera fossero sufficentemente pronti, si sdraiò sulla schiena, spalancò le cosce e mi implorò di scoparla, cosa che io feci con grande diligenza, ma mostrando poca o pochissima partecipazione.

Quella divenne una routine più o meno standard che si ripeté con pochissime varianti le sere successive. Adriana utilizzava sempre la stessa forma di preliminare, ciucciandomelo e sditalinandosi in contemporanea. Non mi sarebbe dispiaciuto cambiare il copione, per esempio dandogli una bella leccata di figa. Adriana aveva un bel figone carnoso che emergeva fulgido da una matassa di peli nerissimi. Quando cominciava a diteggiarsi percepivo distintamente l'afrore selvatico che profluiva dalla sua intimità e sentivo pressante l'istinto di affondare bocca lingua e naso, magari tutta la testa, in quel bosco lurussureggiante e profumato. Ma dovevo essere fedele al ruolo di freddo, indifferente e passivo, e quindi neanche a pensarci.

Mentre la scopavo, io ero muto come un pesce, lei invece diceva porcate con voce lamentosa, come se invece del cazzo nella figa le stessi rivoltando un pugnale nel ventre. "Sì... scopami... fottimi... più forte..." e cose del genere. Insisteva nel sostenere che il mio cazzo fosse il più grosso che aveva mai "incontrato". Di solito veniva due o tre volte prima che io raggiungessi l'orgasmo e la inondassi nella figa con il mio seme.

Per colmo dell'ironia, Adriana aveva un ragazzo ad Ancona, e gli telefonava tutte le sere. Si chiamava Benedetto, ma lei lo accorciava oscenamente in "Betto", pronunciandolo con una "e" aperta, direi spalancata, che rivelava al cento per cento le sue origini calabresi. Mi trovai così a sperimentare l'altro vertice del triangolo lui-lei-l'altro.

Betto, anche lui forse di origini meridionali, era di una gelosia folle e ossessiva. Le telefonate con Adriana erano un eterno psicodramma. Betto insisteva per sapere, minuto per minuto, dove era stata, con chi, chi altro c'era, dove, come, quando, perché. Urlava, insisteva, chiedeva, e ogni due tre frasi ripeteva la fatidica minaccia "Guarda Adriana che prendo l'aereo, eh? In un paio d'ore sto giù, eh?". Adriana invece, con la voce sempre sull'orlo del pianto, sembrava farlo apposta a confondersi, a non ricordare, a entrare in contraddizione. Nomi maschili che apparivano e poi scomparivano. Ore che non coincidevano. Amiche che c'erano e poi non c'erano. E Betto urlava. E Adriana piangeva. Una scena pietosa. Ero proprio contento di mettere le corna a quello stronzo. Io, al suo posto, sarò pure passato per un pervertito, ma ci ho fatto una figura molto più dignitosa. Non credete?

Al contrario, io non nascondevo niente a Patrizia della mia storia con Adriana. E Patrizia accolse con gioia la notizia. "Meno male, amore mio, sono proprio contenta" esclamò, "temevo che a forza di masturbarti con i miei raccontini ti si fossero seccate le palle." Mi chiedeva tutti i dettagli con curiosità, con malizia e anche con un pizzico di eccitazione. Inizialmente temevo che la scocciasse il fatto che io con Adriana ci scopavo, cosa che a lei non era concessa. Invece prese la cosa con grande senso pratico. "Scopatela, Fabio. Scopatela tutte le volte che puoi. Allenati. Fai pratica. Presto ti toccherà la mia fighetta vergine e ti voglio meno imbranato possibile!". Capito che tipo?

Nel corso dei giorni, come una spirale viziosa, io avevo accentuato il mio atteggiamento freddo e arrogante verso Adriana, e lei era ancora più appiccicosa e adorante nei miei confronti. Guardava in cagnesco e con sospetto qualsiasi donna mi rivolgesse la parola. Arrivò quasi a fare una scenata alla cassiera e moglie del gestore del bar del villaggio, rea di aver scambiato con il sottoscritto qualche innocente chiacchiera. Dico, bella donna, per carità, ma incrociava al largo della cinquantina! (Comunque non posso giurare sulla purezza di intenzioni della cassiera che, a quanto si diceva, era solita farsi sbattere allegramente ogni anno da un congruo numero di villeggianti).

Volli allora sfidare la sorte e vedere fin dove potevo spingermi. Male che andava, me la toglievo dalle palle. Una sera, subito dopo cena, eravamo al bar del villaggio, il posto dove si riuniva tutta la comitiva. Lei arrivò e si sedette accanto a me, come al solito. Io l'accolsi freddamente come da copione, e le dissi subito "Ho una brutta notizia per te. Ti ho scommesso a carte e ho perso. Devi andare a letto con Sergio."

Reagì come se l'avessi schiaffeggiata. Aveva gli occhi lucidi di lacrime. "Quando?" mi chiese.

"Quando ti pare..." diedi un occhiata svogliata all'orologio "anche subito, se vuoi. E' ancora presto e vale la pena togliersi prima possibile questo dente..."

Si alzò in piedi e con un piglio solenne e un'espressione di grande dignità si avvicinò a Sergio. Scambiò, seria, qualche parola con lui, poi lo prese per la mano e lo condusse verso il proprio appartamento. Sergio non ci stava capendo niente. Inciampava dietro ad Adriana e ogni tanto si girava a guardarmi con gli occhi stralunati. L'unica cosa chiara era che la vera scommessa l'aveva persa lui e il giorno dopo saremmo andati tutti e cinque al ristorante a mangiare pesce a sue spese. Tutto sommato non era neanche un cattivo affare, per lui. Adriana era pur sempre una bella gnocca.

Tornarono circa un'ora e mezzo dopo, quando ormai tutta la comitiva si era riunita. Per un attimo ci fu un diffuso stupore a vederla arrivare con Sergio. Ma poi, quando Adriana ricominciò la sua marcatura ferrea su di me, nessuno ci fece più caso. Io mi comportai come al solito con lei: indifferente, freddo e sprezzante. E lei continuava a starmi appiccicata. Ciononostante trovai il modo di parlare in privato con Sergio e sapere come era andata la sua sessione con Adriana. Sergio mi raccontò tutto per filo e per segno, concludendo: "A Fabio, è proprio 'na zoccola!"

Alla fine della serata, come al solito, mi ritrovai nel suo appartamento. E qui iniziava la mia interpretazione. Sarei stato all'altezza delle doti recitative che ho sempre sostenuto di possedere, e, soprattutto, sarei riuscito a non scoppiare a riderle in faccia? Se sì, avrei sicuramente avuto una serata divertente.

Adriana si avvicinò per baciarmi. Io la respinsi con una mano e la guardai in cagnesco. "Fabio, cosa c'è?" mi chiese subito preoccupata.

"C'è che sei una puttana! Una gran puttana!" Risposi, forse con troppa teatralità. Dovevo dosare un po' i toni...

"Ma perch..."

"Un'ora e mezza. Un'ora e mezza ci sei stata a fare la troia con Sergio. Cosa cazzo serviva tutto questo tempo!"

Era sconvolta "Ma io..."

"Sergio mi ha detto tutto, sai. Tre volte sei venuta mentre ti scopava. Tre volte!! Sei una ninfomane o cosa?"

Ero perfetto. Laurence Olivier e il suo Otello potevano farmi una sega a quattro mani. Adriana non aveva più parole. Piangeva. Grossi lacrimoni le segnavano il volto. Ma io non avevo finito. Stavo per darle il colpo di grazia.

"Ma non ti bastava. No. Hai voluto fargli anche un bocchino. Hai voluto farti sborrare in bocca. Che schifo!"

Adriana era disperata. Singhiozzava rumorosamente.

"Ti prego Fabio, perdonami" cominciò a farfugliare tra un singhiozzo e l'altro "è vero, sono stata una troia schifosa..." e intanto con gesti isterici, come di disprezzo verso se stessa, stava cominciando a spogliarsi. "Ma ti prego perdonami... non lo farò più... almeno abbi un po' di comprensione per me... sono solo una povera ragazza a volte schiava delle proprie passioni". Mamma mia che falsa questa frase! Non so come ho fatto a non ridere.

Adriana recitava la sua parte con dimestichezza e familiarità. Conosceva alla perfezione tutte le battute e tutti i movimenti come un'attrice consumata alla millesima rappresentazione. Chissà quente volte, mi chiesi, aveva recitato scene analoghe con Betto a posto mio. (Una volta addirittura si sbagliò e disse "Betto" invece di "Fabio". Stavo per scoppiare a ridere. Forse pure lei). Intanto si era completamente denudata. Stava accovacciata ai miei piedi abbracciandomi le caviglie e continuando ad implorarmi piagnucolando.

"Ti prego Fabio. Non te ne andare. Non mi lasciare. Ho voglia di stare con te. Farò tutto quello che vuoi. Ma proprio tutto. Sono disposta ad andare a letto anche con gli altri tuoi amici, se tu lo vuoi." Ma che troia!!! Se lo levasse dalla testa!

"Tiramelo fuori e succhiamelo!" ordinai deciso.

Si affannò ad eseguire, come sollevata dal mio ordine che prefigurava la possibilità, per lei, di conquistarsi il mio perdono. Mentre mi slacciava i pantaloni, sussurrava "Sì Fabio, te lo succhierò. Mi piace succhiartelo. Mi piace il tuo cazzo. E' così bello... così grosso... il più grosso... che ho mai incontrato...". E cominciò a lavorarselo di lingua, in ginocchio davanti a me, mentre i miei pantaloni e le mie mutande giacevano ammucchiati intorno alle caviglie.

Stavolta non ressi e gli feci la domanda. "E quanti ne hai incontrati?" Fece finta di non sentire, o di essere troppo impegnata a sbocchinarmi per rispondere. Ci volevano le cattive? Tirai indietro il bacino tenendole una mano sulla fronte, estraendo il cazzo dalla sua bocca accogliente, e strappandole così un gridolino di dispiacere. "Ti ho fatto una domanda, troia! Rispondi!"

Farfugliò che il numero preciso... insomma... non se lo ricordava... doveva pensarci... comunque... grossomodo... circa una ventina. Un "circa una ventina" che suonava più come "ALMENO una ventina". Ma accolsi la risposta con soddisfazione, tornando ad avvicinare il cazzo alle sue labbra. Se era vero quello che diceva (e non diceva lo stesso a tutti) ero il primo su venti a dimensioni di cazzo. Niente male. Molto più lusinghiero del "terzo su sei" nella collezione di Patrizia, che avrei appreso il giorno dopo.

Insistendo ancora, riuscii a farmi dire, costringendola ogni volta ad interrompere la sua opera di bocchinaggio, che solo due, di questi venti, erano di ragazzi antecedenti a Betto. Gli altri diciotto, ALMENO diciotto, li aveva "incontrati" durante la sua relazione con l'attuale ragazzo, che andava avanti ormai da tre anni.

Povero Betto! Ora capivo perché era così ossessivamente geloso. E perché Adriana si destreggiava così disinvolta nella scena madre della "povera ragazza schiava delle proprie passioni" spogliandosi e gettandosi ai piedi implorando perdono.

Però c'era una buona notizia per Betto. Se era vero che della collezione di Adriana, il mio esemplare era quello più consistente, Betto poteva consolarsi. La sua Adriana l'aveva tradito con una ventina di cazzi diversi, ma aveva avuto il buon gusto, almeno, di non cuccarsi cazzi troppo grossi. Un dato confortante. In fondo, diciamolo, Adriana era una brava ragazza.

"Ora fermati." Intimai. "Voglio mettertelo in culo".

Spalancò tanto d'occhi. "No, non posso! Non l'ho mai fatto!"

"Lo farai stasera!"

"Ma io non l'ho mai fatto neanche con Betto. Ti prego, Fabio. Perché non scopiamo, invece?"

"Hai appena finito di scopare con Sergio! Dentro sarai piena della sua robaccia! Che schifo!"

Questo argomento sembrò risolutivo perché Adriana smise di protestare, e apparve rassegnata ad essere inculata da me. Nel frattempo io stavo ripassandomi mentalmente tutto quello che aveva fatto Piero per preparare la mia Patrizia ad essere sodomizzata dal suo cazzone, e che Patrizia mi aveva dettagliatamente descritto al telefono. Capii immediatamente che dovevo ripiegare su una versione ridotta. Innanzitutto non potevo leccarle il buco. Ossia, io per me lo avrei pure fatto, ma con la messa in scena dell'inculata punitiva che stavamo interpretando c'entrava come i cavoli a merenda.

E come la mettiamo con la cremina? Dove cazzo la trovavo la vasellina? Mi guardai intorno e stavo per dirigermi in cucina a caccia di burro o di olio, quando gli occhi mi caddero su un vasetto marrone. "Burro Solare Coppertone". Lo aprii e fui raggiunto da una zaffata di profumo di cocco vanigliato. Dentro c'era una specie di gelatina grassa, che, pensai, andava proprio a pennello.

Adriana nel frattempo si era messa in posa. Con la voce, continuava monotona a implorarmi di desistere, ma la posizione del suo corpo, carponi e con le chiappe ben aperte, lasciava intendere che, perlomeno, era entrata nel giusto ordine di idee. Mi avvicinai e cominciai a spalmare quel materiale oleoso prima sul buco, poi, con l'indice, cominciai a lubrificarla dentro. In pochi attimi si sparse per la stanza un persistente profumo di cocco vanigliato, di un'intensità quasi asfissiante. Ancora oggi, credetemi, quando sento il profumo degli abbronzanti al cocco non posso far a meno di ritornare con la mente a quell'inculata selvaggia.

Pompai nel suo culo, alternando con l'indice e con il medio. Poi li spinsi tutti e due insieme, sempre sulla falsariga del premiato "metodo Piero". Purtroppo io non potevo utilizzare, nel mio caso, le paroline dolci e rilassanti che Piero aveva usato con la mia Patrizia. Il copione, semplicemente, non le prevedeva. Allora pensai di sostituirle con qualche frase hard che avrebbe potuto, se non altro, esaltare la sua eccitazione. Cominciai a dirle: "Dai, troia, lasciati aprire. Ti rimando dal tuo Betto con il culo sfondato. Dai che ti piacerà. Ti farà anche comodo. Con tutto il traffico di cazzi che ti prendi, vedrai che un buco in più aiuterà a smaltire le code. E' come la terza corsia del Raccordo Anulare." Adriana rispondeva ad ogni mia frase con un gemito che sintetizzava dolore, umiliazione ed eccitazione. Il culo reagiva benino, stava allargandosi senza problemi. La feci girare, la disposi "alla diavola" con le gambe tirate indietro e il culo esposto. Il "metodo" prescriveva un altro po' di diteggiamento indice-medio. Ma io decisi di "tagliare" ancora.

Mi spalmai un bel po' di burro solare sul cazzo, pensando ironico che ne aveva bisogno. Quando tutto il resto del corpo è abbronzato, il cazzo ha sempre un aspetto pallido e malaticcio, pure se è nel pieno dello splendore, come era il mio in quel momento. Puntai deciso sul buco e... capii come una folgorazione qual'era il vero vantaggio di quella posizione. Non poteva muoversi! Una donna carponi può sempre "scappare" in avanti, o ingobbire la schiena per chiudersi. Anche se è ben disposta all'inculata certi movimenti sono istintivi. Invece, sbracata alla "diavola", non poteva fare niente. Stava al maschio decidere se spingere piano o forte, delicato o deciso. Perfidamente diedi una bella bottarella improvvisa, infilando subito tutta la cappella e un altro pezzetto nel buco. Adriana mando un urletto acuto, e, per reazione, sentii il suo sfintere che si stringeva forsennatamente intorno al mio cazzo. "Toglilo!" urlò. "Mi fa male!" Quando la stessa reazione l'aveva avuta Patrizia io mi ero affrettato ad ubbidire. Stavolta invece ignorai i lamenti.

"Stai tranquilla. Ora ti passa" le dissi. Intanto mi ero fermato, godendomi la sensazione di quella guaina strettissima sul mio pene. La guardavo in faccia, cercando di misurare dalla sua espressione sofferente se e quanto il dolore stesse scemando. Piano piano i suoi lineamenti si rilassarono, mentre dal basso mi accorgevo che anche il buco aveva cominciato a cedere. Attesi ancora un po', poi cominciai a spingere per infilarlo tutto. Adriana aveva gli occhi di fuori, ma non era un'espressione di sofferenza, quanto di sorpresa per una sensazione inedita nelle sue viscere.

"Allora, troia, cosa si prova con un cazzo nel culo?" chiesi, sprezzante. Stava per dire qualcosa, ma riuscì solo ad emettere un "Aaahhh" strozzato. Chissà che avrebbe voluto dire. Comiciai a pompare, subito a buon ritmo. Lei mandava degli urletti ad ogni mio affondo. La frizione scaldava il burro che emetteva ancora più violentemente il suo aroma al cocco vanigliato. Un odore che non copriva, ma anzi si integrava armoniosamente con quello che proveniva dalla sua intimità posteriore violata. Buono. Veramente. Vaniglia, Cocco e Culo. E magari tra un po' arriva pure la panna...

Quando mi sembrò che ormai ero padrone del suo buco, la feci sistemare nella classica pecorina. E continuai da quella posizione. Fui lieto di notare che Adriana stava cominciando a godersela sul serio l'inculata. Gli urletti erano stati gradualmente sostituiti dagli stessi gemiti lamentosi che accompagnavano di solito le nostre scopate. E parlava. Farfugliava frasi senza senso. Una specie di collage casuale di parole, dove i termini più ricorrenti erano "buco... culo... aperto... sfondato... inculata... cazzo... grosso... sento... dentro... godo... Fabio... Betto". Betto? Cazzo c'entrava Betto?

Solo ad un certo punto mi sembro di individuare una frase di senso compiuto. "Betto... Betto..." diceva. "Come glielo dico ora a Betto?"

"Fregatene!" risposi "Non gli dici un cazzo a Betto, e chiusa lì!". Per un attimo sembrò aver accettato la mia risposta. Ma poi riprese a farfugliare.

"No... No... Io gli dico tutto a Betto... Io gli dico sempre tutto... Lui vuole sempre sapere tutto..."

"E cosa fa quando glielo dici?"

"Si incazza... urla... qualche volta mi picchia, anche..."

 

"Però si eccita?"

"Sì... gli diventa grosso e duro... e stiamo ore a scopare..."

Sogghignai dentro di me. Eccone un altro. Ecco un altro stronzo come me, che si arrapa quando la propria ragazza fa la troia con gli altri. Quanti siamo? Ma che è, un'epidemia? Mentalmente feci un parallelo tra le telefonate di Patrizia e le scene drammatiche di Adriana. In fondo la musica era la stessa. Era l'arrangiamento a cambiare. Io e Patrizia preferivamo la complicità, l'ironia, qualche battuta allegra, sdrammatizzante, un po' di presa in giro reciproca. Betto e Adriana preferivano le tinte forti, la gelosia ossessiva, le emozioni violente, la passione sfrenata, la cupa tragedia.

Non avrei mai fatto a cambio. Ma se a loro piaceva così... Sono solo gusti diversi. Siamo liberi in questo mondo. Ognuno secondo il suo carattere, il suo temperamento, le sue inclinazioni. Viva la difference!

Fui distratto nelle mie speculazioni dal mugolare di Adriana. "Fabio... voglio sapere... cosa avevi scommesso con Sergio?".

Inizialmente finsi di non capire. "Avevo scommesso che se perdevo tu saresti andata a letto con lui."

"Sì... lo so... voglio dire... ma se vincevi, cosa vincevi?"

"Ventimila lire."

OK il prezzo è giusto! Quando sentì la cifra, per lei ridicola ed umiliante, Adriana emise un lamentoso gemito di piacere. Si portò una mano tra le cosce cominciò a sgrillettarsi furiosamente. Io che avevo capito come stava buttando la faccenda, intensificai il ritmo dei miei colpi. E presi bene la mira perché giungemmo all'orgasmo contemporaneamente, con il mio piacere che moltiplicava il suo ed il suo che moltiplicava il mio.

Quando estrassi il cazzo dal buco martoriato di Adriana, mi accorsi che aveva cambiato colore. Rispetto al pallido originale aveva assunto una tenue sfumatura marroncina. "Però" risi tra me e me "'sto Burro Solare funziona. Guarda come mi si è abbronzato!".

Mi ero rivestito e mi ero diretto alla porta senza dirle una parola. Mi bloccò sulla soglia chiamandomi. Per quanto ne sapevo stava ancora nella stessa posizione in cui l'avevo lasciata. Sdraiata sulla pancia con le gambe allargate e il culo bello esposto con il buco ancora slabbrato e pieno del mio sperma.

"Fabio!"

"Cosa c'è?"

"Fabio... mi hai... mi hai perdonato?" il tono di voce era sempre sulla solita chiave lamentosa. Ansimava ancora leggermente.

"Forse. Ne riparliamo domani." E stavo per chiudere la porta.

"Fabio, aspetta!"

"Cosa c'e ancora ?!" risposi scorbutico.

Ora aveva assunto un tono sensuale e sospiroso. "Volevo dirti che... mi è piaciuto molto quello che mi hai fatto stasera... è stato molto bello... Grazie, Fabio... Grazie...". Non risposi. Chiusi la porta e me ne tornai verso il mio appartamento.

"Certo che un po' stronzo ci sei! C'era proprio bisogno di comportarti così male con quella poverina?" La voce di Patrizia al telefono era piena di rimprovero. Avevo appena finito di raccontarle la mia serata con Adriana, senza riuscire a nascondere un pizzico di autocompiacimento. Ma a Patrizia non ero piaciuto.

"Guarda che per quanto mi riguarda ne avrei fatto volentieri a meno di fare la parte del dominatore sadomaso. E' a lei che piace così. Alle donne qualche volta piace il pugno di ferro..."

"Non so se te lo sei dimenticato, ma anche la sottoscritta è una donna..."

"Vorrà dire che qualche volta ti faccio provare..."

"Non ci pensare nemmeno. Ti darei tanti di quei calci in culo..." Si stava incazzando sul serio. Marcia indietro.

"Stavo scherzando, amore. Con te non lo farei mai. Ti amo troppo."

"Fabio, ma non pensi che se con quella ragazza fossi stato dolce e tenero, come sai esserlo tu, vi sareste divertiti di più tutti e due?"

"Che ti devo dire? Ho l'impressione che se fossi stato carino con lei non mi avrebbe filato di pezza..."

Ma il tarlo del dubbio me l'aveva seminato. Era venerdì. L'ultima sera. Quasi quasi...

Qualche ora dopo eravamo sul lettone di Adriana e, secondo lo schema consueto, la bionda stava cominciando a spompinarmi e a sditalinarsi contemporaneamente. Ci pensai un attimo. Massì, 'sti cazzi! Quello che succede succede.

La presi per le ascelle e la feci stendere sopra di me, sussurrandole dolcemente "Vieni qui, tesoro. Fatti baciare." La baciai in bocca con tutta la passione di cui ero capace. Mi cappottai, continuando a baciarla, e ci trovammo lei sotto e io sopra. Poi mi stesi di fianco accanto a lei supina, che mi guardava con gli occhi spalancati, sorpresa, quasi spaventata dal mio improvviso cambiamento di modi.

Cominciai a carezzarla su tutto il corpo e a sussurrarle paroline dolci. "Sai Adriana che sei proprio una gran bella ragazza? Hai un corpo da infarto. Mi piaci tantissimo." Lei era spaesata. Non sapeva che dire, che fare. Ma si stava eccitando. Cominciai a leccarla sul collo. Poi mi dedicai alle sue grosse tette. Due gran belle tette. Leccai e mordicchiai i capezzoli, che risposero pronti indurendosi. La leccai in mezzo ai seni stringendomi le pere addosso alla faccia.

E continuai a leccarla. Dappertutto. Davanti e di dietro. Andando a cercare le zone erogene più impensate. La leccai sulla fronte, dietro ai lobi delle orecchie, sui fianchi, sul palmo delle mani, sull'incavo dei gomiti, sul dietro delle cosce, intorno alle caviglie. Dappertutto. Lei si agitava, sospirava, gemeva. Era in estasi.

Naturalmente avevo lasciato il piatto forte per ultimo. Avevo appena finito di ricoprirla completamente della mia saliva. Se ne stava supina con le cosce ben aperte. La sua fica era come un fiore appena sbocciato, ricoperto di rugiada. E mandava un profumo altrettanto delizioso. Stentai a trattenermi dal buttarmici sopra a pesce.

A me la figa mi piace. "A me mi" non si potrebbe dire. Ma a me la figa mi piace lo stesso.

E non solo come buco dove schiaffare il cazzo. No. A me mi piace... a prescindere. Mi piace con tutti e cinque i sensi. Mi piace guardarla. Mi piace toccarla. Mi piacciono gli odorini che manda. Mi piace assaggiarla con la lingua. Mi piace ascoltare il suono delicato delle labbra che si aprono, come un leggero bacio.

Mi piace la figa. Da impazzire. Forse ho qualche remora a confessare che mi eccito quando Patrizia mi tradisce. Posso capire che molti lo considerano... strano. Ma la mia passione per la figa posso urlarla ai quattro venti. E' cosa buona e giusta. E' veramente cosa buona e giusta. Mi piace la figa. MI PIACE LA FIGA! E se a voi non piace, gli strani siete VOI.

Per un attimo mi chiesi se Patrizia provasse la stessa cosa per il cazzo. No. Lo escludo. Non può essere troia fino a questo punto. Ma scherziamo?

In quel momento di fronte avevo una stupenda fica carnosa, che mi attendeva invitante. Cominciai a girarci intorno, con la lingua. Non era una forma di "preparazione" per la sua passera. Adriana era così eccitata e bagnata che avrei potuto tranquillamente prenderla a martellate. Volevo prolungare la sua attesa, e la mia, fino al delirio. E così le leccai l'interno delle cosce, il punto di giunzione delle gambe al lato della fica. Giocai con il suo pube folto, facendone (ahimè!) una scorpacciata. E continuai a girarci intorno. Adriana gemeva. Smuoveva il bacino. Temevo che da un momento all'altro mi avrebbe preso per i capelli e mi avrebbe sbattuto il muso sulla sua passera.

Gliela baciai dolcemente con le labbra, tanti bacini teneri. La sfiorai delicatamente con la lingua. Applicai gradualmente maggiore pressione fino a darle lunghe e gustose lappate dal buco fino al clitoride. Poi mi bagnai due dita di saliva e delicatamente la penetrai, mentre con la lingua mi concentravo sulla parte più alta e più sensibile. Avevo sempre desiderato farlo, ma con la fighetta vergine di Patrizia non era possibile.

Tenevo le dita rivolte in su, e, mentre le muovevo dentro e fuori, operavo una delicata pressione verso l'alto con i polpastrelli, come se volessi spingere verso la mia bocca. Adriana stava godendo come una matta. Quando le presi il clitoride tra le labbra e cominciai delicatamente a succhiarlo, sempre continuando a scoparla con le dita, ebbe un orgasmo squassante. Cacciò un urlo che devono averla sentita fino a Catanzaro.

Avevo trovato il punto-G? Non me lo chiedete. Non lo so. So solo che la prima volta che mi hanno parlato di "G-spot" la mia reazione è stata "E ti pareva che non trovavano il modo di infilare la pubblicità pure nella figa!"

Adriana continava a sospirare, ancora avvolta dai fumi dell'orgasmo. E mi ripeteva "Fabio... è stato bellissimo... eccezionale... ho goduto come una pazza". Io le stavo accanto e le carezzavo il viso e i capelli dolcemente, sussurrandole "E' stato molto bello anche per me, tesoro." Ero tutto zucchero e miele.

Appena ebbe ripreso fiato, volle sottopormi allo stesso trattamento. Cosa che non mi dispiacque affatto, è chiaro. Ma ho il sospetto che a noi maschietti certi giochetti piacciano meno. In certi frangenti ci identifichiamo talmente tanto con il nostro cazzo che il resto del corpo potrebbe pure alzarsi ed andarsi a fare una sauna.

Fatto sta che fu un sollievo per me quando Adriana smise di slinguazzare in giro e si predispose a regalarmi un bel bocchino a cinque stelle. Niente a che vedere con gli sbocconcellamenti distratti che fino ad allora erano serviti da preliminare alle nostre scopate. Stavolta ci si mise con impegno e passione ed era sottinteso che sarebbe arrivata fino alla fine. The Full Monty. Era brava. Ci sapeva fare. I "circa venti" cazzi che erano passati dalle sue parti le avevano lasciato la sufficiente esperienza. E poi le piaceva. Si vedeva che le piaceva. E questo è discriminante. Una donna può avere tutta l'esperienza, la tecnica, l'impegno e la buona volontà che vuole, e potrà fare anche degli ottimi bocchini. Ma se non le piace farlo non sarà mai all'altezza nemmeno di una pischella alle prime armi che però prova gusto a sentirselo in bocca. Parola di Fabio.

Mi procurò un orgasmo meraviglioso, e le venni copiosamente in bocca. Continuavo ad essere tutto zucchero e miele, per cui le feci tanti complimenti, le dissi che era stata fantastica, e continuavo a carezzarla sul viso, sui capelli, sul collo.

Ma la serata era appena iniziata. La leccai ancora, poi scopammo con passione. Poi mi offrì il culetto, pur se ancora non completamente rimessosi dal mio assalto della sera precedente. Il Burro Solare era ancora sul comodino. La inculai con dolcezza e delicatezza, di fianco, mentre le carezzavo le tette con la sinistra, la diteggiavo piano tra le gambe con la destra e le slinguazzavo la nuca e il collo, alternando paroline dolci e stuzzicanti. Piero poteva essere orgoglioso del suo allievo. Poi scopammo ancora.

Alla fine della serata (serata... erano le 6 di mattina) io ero venuto cinque volte, e lei almeno due, forse tre volte tanto.
Eravamo stesi distrutti, ansimanti, abbracciati l'una all'altro. Lei mi sussurrava "Fabio... non avevo mai goduto tanto in vita mia... sei stato fantastico... credo di amarti... se tu me lo chiedessi lascerei Betto... posso trasferirmi a Roma... no, non ti chiederei di lasciare Patrizia... so che le vuoi bene... mi basterebbe starti vicino e vederti ogni tanto..." Io ero imbarazzato, non sapevo che dire.

"Domani parti... mi sento morire all'idea di non vederti più... io resto un'altra settimana... sola e triste... a pensarti". Dio mio! Era proprio partita!

Quando feci il gesto di andarmene mi implorò di restare. "Resta a dormire con me... non lasciarmi sola!" Non fu facile convincerla che io e miei amici ci dovevamo organizzare per la partenza e che, con tutta la buona volontà, non potevo rimanere lì. Volle un bacio, prima di lasciarmi andare. E poi un altro. E poi un altro ancora. Alla fine riuscii a scappare.

Mentre tornavo al nostro appartamento, spompato, insonnolito e barcollante, riflettevo tra me e me. Non avevo mai passato una notte di sesso (d'amore?) così intensa e soddisfacente. Ma allora aveva ragione Patrizia! Basta un po' di dolcezza e di tenerezza e le ragazze ti si sciolgono tra le mani. E io che avevo continuato per un'intera settimana a fare lo stronzo con quella poveretta di Adriana. Ora mi scocciava di dover partire. Sentivo di provare qualcosa per Adriana. Mi sarebbe piaciuto continuare a vederla. Fare lunghe camminate sulla spiaggia al suo fianco, e parlare di tutto e di niente. Guardare insieme il tramonto sul mare. Portarla a cena fuori. Passeggiare mano nella mano sul lungomare. Regalarle qualche oggetto stupido di quelli che vendono i marocchini. Pagarle da bere. E soprattutto passare altre meravigliose notti di sesso sfrenato come questa. Avevo avuto un'intera settimana di tempo, e l'avevo lasciata scappare così. Che coglione!

Dovevo ammetterlo. Aveva proprio ragione Patrizia.

Ragione Patrizia un cazzo!

La mattina dopo non riuscivo a trovarla. Ormai eravamo pronti per la partenza. Le valigie erano ammucchiate sul portabagagli, tenute insieme da cavi elastici. I miei amici erano già in macchina. Loro mi chiamavano "Dai Fabio, sbrigati!" Ma io non potevo andarmene senza prima almeno salutarla.

Finalmente la scovai, con un gruppo di ragazzi e ragazze nuove, tutta intenta a chiacchierare. La chiamai "Adriana!". Più forte "Adriana!!". Non mi andava di mettermi a urlare come Stallone alla fine di Rocky 2. Mi avvicinai e la toccai sulla spalla. "Adriana!"

Si girò e mi sorrise con fredda indifferenza. "Scusami, Adriana. Ti volevo salutare. Stiamo partendo..."

"Ah, ciao. Buon viaggio." E tornò a parlare con i suoi nuovi amici.

Ci rimasi di merda. Mi girai e me ne andai. In fondo me l'aspettavo. Non è vero che le donne sono imprevedibili. Sono prevedibilissime. E' quando cerchi di capirle che diventi scemo. Però c'ero rimasto male. Mi voltai all'indietro giusto in tempo per assistere ad una scena illuminante. Un bel ragazzo biondo che camminava, e Adriana che lo seguiva docile. Il cagnolino aveva trovato un altro padrone.

Tornai alla macchina e mi sistemai accanto a Sergio sul sedile posteriore. Chiusi la portiera e mormorai, cupo, "Possiamo andare". Avevo l'espressione rabbuiata e Sergio se ne accorse subito. "A Fabio, è finita la vacanza!" disse, con una facciona triste triste pure lui.

"A Sergio" gli risposi "e 'sti cazzi!" e tutti e cinque scoppiammo a ridere. E attaccammo a cantare a squarciagola "Fatece largo che passamo noi...".

Massì... "Ma che ce frega, ma che ce importa..." Vaffanculo ad Adriana. Vaffanculo a tutte le Adriane del mondo. Ormai contavo le ore e sarei di nuovo stato tra le braccia di Patrizia, e lei tra le mie. E di tutto il resto non mi fregava niente. Mi sentii prendere da un'irrazionale euforia.

"Patrizia, amore mio, aspettami! Sto arrivando!!!" urlai come un pazzo dal finestrino mentre la nostra macchina stracarica imboccava sbandando l'autostrada.

Vai Xlater. Vai con la sigla.

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